La vergogna
Un senso improvviso e sgradevole di nudità di Maurizio Pietromonaco
Un senso improvviso e sgradevole di nudità di Maurizio Pietromonaco
Come si può definire la vergona
Le emozioni vengono distinte in emozioni primarie, ossia innate e universali, e quelle
secondarie, più complesse, frutto della crescita dell’individuo e dell’interazione sociale. La
vergona fa parte delle emozioni secondarie e viene sperimentata e appresa dall’individuo
in relazione all’ambiente. Essa viene definita emozione dell’autoconsapevolezza (M. Lewis, 1992; Tangney, Fischer, 1995) perché comporta inevitabilmente un autoriferimento
(un giudizio su di sé, un’assunzione di responsabilità) ma sarebbe più opportuno chiamarla emozione sociale (Barrett, 1995) o interpersonale (Battacchi, 2000), in quanto richiede necessariamente il riferimento non solo a sé, ma anche al giudizio degli altri, o al confronto con loro, o al danno loro arrecato, o a norme trasgredite. JM Robine distingue ulteriormente la vergogna sperimentata come emozione e la vergogna esistenziale.
Quest’ultima la intende come lo sfondo stabile delle esperienze della persona, lo sfondo
che accompagna l’individuo nella sua esistenza, differenziandola dalla vergogna legata a
specifici episodi.
Come si manifesta la vergona
La vergogna si può manifestare con il rossore e le parole di JM Robine aiutano, secondo me, a dare una forma a questa manifestazione: “La mia ipotesi ha a che fare con il tema del mostrare o dimostrare l’eccitazione […]. Il soggetto si accorge che sta svelando ciò che vorrebbe tenere nascosto: il proprio sé che desidera. Ma questa rivelazione di sé è anche fonte essa stessa di eccitazione perché dà l’opportunità al soggetto di essere riconosciuto nel proprio desiderio, anche se questo desiderio è indicibile” (2014).
La vergogna viene descritta come un senso improvviso e sgradevole di nudità, di sentirsi
scoperti, spogliati, smascherati, e di un conseguente desiderio di sparire, di sprofondare, di diventare invisibili. Mentre ci vergogniamo ci sentiamo paralizzati, bloccati, pietrificati come se il solo fatto di muoversi mettesse ancora di più in luce la nostra “nudità”. La sensazione generale che ne deriva è una sorta di profondo turbamento, di disorientamento, di confusione mentale. La vergogna è conseguente ad una sensazione di smascheramento come se il nostro sforzo per mostrarci accettabili, desiderabili, interessanti, degni di appartenere, cedesse improvvisamente lasciando emergere in modo lampante quegli aspetti che riteniamo essere le nostre parti più riprovevoli, disgustose e indesiderabili. Una caratteristica specifica della vergogna è il suo carattere instabile e aleatorio che la rende talvolta più difficile da cogliere e riconoscere rispetto ad altre emozioni: è un’emozione episodica, in cui non si resta a lungo, che tende piuttosto a trasformarsi in altre emozioni simili (rabbia, colpa, invidia, ansia).
Quando la vergogna non trova uno spazio nell’ambiente e un contatto con noi stessi può
essere sostituita da un’altra emozione: rabbia, negazione, tristezza, umiliazione, paura. F.
Perls dice sulla vergogna: “La vergogna, l’imbarazzo, il disagio e la paura limitano le espressioni dell’individuo che si trasformano in repressioni”. La repressione è un modo
creativo di interrompere l’emozione della vergogna attraverso ad esempio l’evitamento o la
retroflessione. Queste modalità permettono alla persona di difendersi di fronte ad un
ambiente che, sempre secondo la persona stessa, non è pronto ad accogliere i desideri e i
bisogni dell’individuo per svariati motivi come quello culturale/sociale.
La mia esperienza con la vergogna
Riporto di seguito alcune domande su cui riflettere:
Posso tollerare la mia vergogna?
Ti hanno mai detto: “dovresti vergognarti”?
Mi è capitato di sentirmi sbagliato?
Quando penso alla vergona, alla mia o a quella che incontro nell’ altro, mi ritornano in mente le parole di Mimma Turco (una dei tre fondatori della Scuola di Counseling FGB) durante la formazione di counseling. Lei ci ricordava di stare attenti quando incontriamo la vergogna dell’altro, è un’emozione che ha bisogno di accoglienza, di sostegno e consapevolezza per imparare a tollerare le emozioni non desiderate. Durante un lavoro di counseling, all’interno del gruppo di formazione, ricordo come Mimma fece girare di spalle il resto del gruppo in modo da non guardare il cliente che stava portando la propria vergogna. E’ importante anche aver fatto i conti con la propria vergogna, questo ci aiuta a stare con l’altro e ci ricorda quanto è difficile mostrarsi e mettersi a nudo. Inoltre la vergogna può essere accompagnata da un vissuto di solitudine fino a quando non ci si permette di condividere l’indicibile.
Ritengo prezioso tenere a mente la distinzione tra:
1) vergogna e senso di colpa: il secondo è un vissuto più collegato ad un “fare” o ad un “aver fatto” mentre il primo rimanda ad un “essere”. Probabilmente i due vissuti spesso si confondono in quanto è confusa in noi la distinzione tra ciò che facciamo, quanto cioè identifichiamo ciò che siamo in base a ciò che facciamo. Sovrapporre il concetto di ciò che facciamo (che poi è diretta conseguenza di ciò che desideriamo) e di ciò che siamo può essere affrettato, riduttivo e fuorviante. La colpa inoltre, per manifestarsi, non necessita dello sguardo dell’altro.
2) vergogna e pudore: il secondo è quel bisogno di preservare e di proteggere dagli altri parti intime del nostro corpo e del nostro mondo interno, che possono essere rivelate solo con alcune persone e in alcune situazioni. Il pudore ha una valenza relazionale nel senso che ci permette di regolare la distanza con l’altro: proteggiamo la nostra intimità e ci mostriamo man mano che sentiamo per l’altro interesse, fiducia e rispetto reciproco. Chi ha pudore non sempre ha vergogna nel mostrarsi, ma semplicemente è una persona che non ama mostrarsi, esibirsi davanti ad altri.
3) vergogna e imbarazzo: il secondo ha a che vedere con l’avvicinarsi e il mostrarsi temendo di essere rifiutati, nella vergogna c’è certezza di essere stati smascherati e altrettanta certezza che saremo rifiutati. L’imbarazzo inoltre è un’esperienza più tenue, più morbida e che lascia libertà di movimento mentre la vergogna, con la sua dirompenza, paralizza. Entrambi i sentimenti, come ben spiegato da Lee, sono intimamente coinvolti in quello che è il senso di appartenenza. L’imbarazzo si sperimenta in presenza di altri, la vergogna si può provare anche da soli.
Concludo con una frase di Fritz Perls, il fondatore della Psicoterapia della Gestalt, che,
seppur nella sua radicalità che spesso lo ha contraddistinto, ben esprime l’irrinunciabilità
da parte dell’individuo della propria autenticità:
“Io sono io. Tu sei tu. Io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative. Tu non sei al mondo per soddisfare le mie aspettative. Io faccio la mia cosa. Tu fai la tua cosa. Se ci incontreremo sarà bellissimo; altrimenti non ci sarà stato niente da fare”.
Riferimenti bibliografici
– Fellin S., Imparato L., Mariotti V., Peduzzi M., Ratti G. (1998), Uno sguardo alla vergogna:
incontro con la complessità di questa esperienza emotiva, appunti da Workshop, Palermo.
– Giovannini I., 2014. La vergogna nelle gambe. Tesi di specializzazione, Università di
Torino, Specializzazione in Psicoterapia della Gestalt
– Lewis M. (1992), Il Sé a nudo, alle origini della vergogna, Giunti, Firenze, 1995.
– Perls F., L’Io la fame e l’aggressività, Franco Angeli ed. 1995)
– Poletto A. (2008), Dentro la vergogna: esperienza di un viaggio, Tesi di specializzazione in
Psicoterapia della Gestalt, Milano.
Ringrazio Ilaria Giovannini per aver condiviso con me la sua Tesi di specializzazione in Psicoterapia della Gestalt sulla vergogna