Counseling, professione del nuovo millennio
di Laura Boglione
di Laura Boglione
“A chi ha fame non dare un pesce ma insegna a pescare”,
suggerisce un proverbio cinese, invitando a non creare e non
avvallare rapporti di dipendenza, ma a utilizzare il disagio a cui
si vuole venire incontro, come punto di partenza di un processo
di responsabilizzazione.
E’ su questo principio che si basa il counseling, una nuova
realtà professionale, che si propone di “aiutare ad aiutarsi”, di
far prendere coscienza delle risorse personali, con le quali poter
affrontare i problemi in prima persona.
Il counseling nasce nell’ambito delle nuove e più evolute correnti della psicologia umanistica, basate sulla concezione molto vasta e ottimistica dell’essere umano e trova applicazione in vari campi, dal personale, al sociale, al sanitario,allo scolastico, all’aziendale.
Il principale strumento di lavoro è la relazione e la comunicazione, prevalentemente verbale, il colloquio faccia a faccia, attraverso il quale si cerca di stabilire un rapporto di qualità con l’interlocutore, per comprendere prima di tutto il problema, per permettergli di guardare la situazione anche da diversi punti di vista, per studiare insieme a lui le possibili evoluzioni, per stimolarlo al cambiamento e accompagnarlo nel percorso di mobilitazione delle sue risorse verso nuovi obbiettivi.
Il counseling ad approccio integrato abbina alla relazione consigliare tecniche di intervento esperienziali su base immaginativa e modalità di respirazione guidata atte a catalizzare il percorso di crescita dell’individuo e la sua naturale evoluzione. Alla base di questa strategia c’è la fiducia nella capacità di ogni singolo individuo di riconoscere ed attivare la sua profonda libertà di cambiare, di non essere inesorabilmente determinato da fattori ambientali, storici, e genetici, ma di poter dare anche risposte nuove, basate su convinzioni e valori autentici della persona. Ogni individuo è considerato unico e speciale e come tale gli viene dedicata la massima attenzione, per coglierne la sua peculiarità e aiutarlo ad esprimerla pienamente.
La capacità di ascolto e l’empatia sono tra le fondamentali
qualità del counselor, che non è certo un semplice “consigliere”
come una traduzione più letterale e superficiale potrebbe far pensare. “Counselor” è un termine intraducibile, e quindi diffuso nella sua dizione originale inglese, scritto con due elle, che può avvicinarsi forse al ruolo ottimale dell’educatore così come era stato descritto da Socrate, il maieuta, colui che sa fa venire alla luce ciò che già è insito nella persona; il suo è un ruolo di catalizzatore di processi di crescita.
Inizialmente il counseling era considerata una delle funzioni
dello psicologo, ma il suo ruolo d’azione si è allargato sempre più, per allontanarsi dal campo essenzialmente terapeutico e aprirsi a un terreno più vasto, vicino in un certo senso alla formazione. Il counselor non necessita di laurea in psicologia o medicina, quindi essere un medico o uno psicoterapeuta, per il semplice fatto che il suo interlocutore non è considerato un “paziente” ma un “cliente”. Il rapporto è più paritario, la prestazione desiderata viene contrattata insieme all’inizio, non prevede una cura perché alla base non vi è una malattia, ma una richiesta di orientamento, sostegno, guida.
Come una guida di montagna non porterà mai il cliente in braccio verso la meta desiderata, ma percorrerà insieme a lui la strada, con l’unico vantaggio di essere allenato e di conoscere già bene il territorio, cosi il counselor non ha il compito di risolvere il problema del suo cliente, ma di mettere a disposizione del suo cliente la sua esperienza per accompagnarlo nella ricerca di una possibile soluzione del disagio.
Dal counselor non si va per avere delle risposte, delle interpretazioni, delle ricette, si va per imparare a stare meglio
con se stessi e, di riflesso, con la realtà circostante e con le
situazioni nelle quali bisogna vivere e operare. E’ di solito, una scelta personale e implica la disponibilità a lavorare su se stessi
prima ancora che sulla situazione esterna, un percorso che
difficilmente può essere imposto.
Il lavoro di crescita personale è il primo passo, anche quando i
problemi da affrontare sono estremamente pratici e sembrano
dipendere esclusivamente da avvenimenti esterni: un
licenziamento, la perdita di una persona cara, un figlio che si
droga, un incidente d’auto….E’ infatti sull’atteggiamento che
prima di tutto potrà lavorare il Counselor, cercando di trovare
un punto di vista dell’accaduto che lasci spazio ad una
possibile crescita, che non chiuda ogni possibilità di dialogo e
di dialettica con la realtà e che possa così trasformarsi in
un’opportunità di ampliamento di orizzonti, anche interiori. A
volte è necessario “collaborare con l’inevitabile” e questo
permette di non sentirsi del tutto inermi e passivi di fronte agli
eventi.
Dal counselor si va anche quando i problemi sono più
impalpabili e non sono riconducibili a cause specifiche: un
senso di disagio, un’insoddisfazione generalizzata, l’incapacità
di prendere decisioni, una crisi esistenziale.
Questo è il campo in cui la domanda si fa crescente, è il campo
in cui il counselor può dare il meglio di sé, ma è anche quello
più delicato, perché strettamente confinante con la
psicoterapia.Ci possono essere diversi malesseri che hanno
origine in squilibri profondi della personalità, che hanno quindi
bisogno di un intervento che non si limita alla contingenza ma
devono necessariamente intraprendere un percorso di analisi
più approfondito, per avviare un processo di ristrutturazione
globale della personalità. In questi casi il counselor deve
attingere non solo dalla sua formazione nel campo della
comunicazione ma, avendo a che fare con la vastità del mondo
interiore – con le sue altezze e i suoi abissi – deve aver vissuto
in prima persona un approfondito percorso di autoconoscenza e
autocoscienza e inoltre attingere dalle nozioni introitate di
psicopatologia.Questo percorso gli permette di identificare con
i primi incontri se il caso che gli si presenta è di sua competenza o deve essere indirizzato ad un altro professionista in campo psicoterapico o psichiatrico.
Il presupposto affinché il counseling possa avere successo è
che il cliente abbia una struttura della personalità
sufficientemente salda, anche se magari momentaneamente in
disequilibrio, da potersi prendere successivamente in mano;
non è quindi sufficiente in tutti quei casi in cui ci sia
disgregazione o spaccatura dell’Io, in cui non ci sia la
collaborazione del cliente o in cui non sia possibile lavorare sul
problema che viene presentato come causa del disagio, senza
implicare una revisione di tutta la struttura della personalità.
Pur essendo confinante con l’ambito terapeutico, il counseling
rientra piuttosto in un ambito che include la dimensione
sociale, quella educativa e quella della salute, intesa come una
ricerca dell’equilibrio e del benessere psicofisico, un ambito
che coinvolge praticamente tutti.
Lo spirito di questa professione è coerente con una
fondamentale inversione di tendenza che sta coinvolgendo un
numero sempre maggiore di ambiti della cultura
contemporanea, una tendenza che tende a valorizzare la natura
umana, la sua fondamentale libertà, la sua creatività e il senso
di responsabilità insito in ognuno. Questo cambiamento
permette di passare da una struttura gerarchica piramidale, in
cui la conoscenza e il potere sono detenuti da pochi, a una
struttura circolare, a rete, in cui la collaborazione tra tutte le
componenti del sistema è possibile e necessaria al
mantenimento dell’equilibrio dell’insieme. Nel campo delle
professioni di aiuto questo implica un passaggio
dall’atteggiamento di pietà, carità, solidarietà e
assistenzialismo, a uno di collaborazione, corresponsabilità e
compartecipazione. Non c’è più qualcuno che dall’alto del suo
sapere risolve i problemi di un altro, ma c’è un addestramento
all’indipendenza e all’autonomia in cui non si utilizzano le
conoscenze sulla natura psichica dell’essere umano per “far
guarire” qualcuno, ma si forniscono direttamente queste
conoscenze verso chi ne ha bisogno, affinché la persona possa
poi comprendersi meglio e riequilibrarsi anche da sé. Certo,
non è sempre facile da soli, sarebbe come imparare uno sport
solo sui libri, il counselor diventa cosi come un allenatore di
ginnastica interna per esplorare insieme i meandri e i meccanismi di una dimensione così a lungo ignorata dalla
cultura occidentale, quella interiore. Il suo compito è infatti
quello che dovrebbe essere della famiglia e della scuola:
diventare consapevoli degli strumenti a propria disposizione, in
quanto essere umano e in quanto individuo, imparare ad
operare consapevolmente e costruttivamente nella propria
realtà.
Il counseling non è solamente una professione a sé, ma è anche
una componente di molte altre professioni che si giocano sul
rapporto interpersonale e sulla qualità della comunicazione.
Non solo lo psicologo e l’insegnante, ma anche il medico,
l’avvocato matrimonialista, l’assistente sociale, il direttore del
personale d’azienda, e, se vogliamo anche il poliziotto, l’abile
venditore, il conduttore televisivo e il politico, l’atleta e
l’allenatore hanno bisogno di una formazione al counseling per
svolgere al meglio la loro professione. ”Il medico è la
medicina” si dice spesso, e una parola giusta, detta al momento
giusto può essere più terapeutica di molte altre cure, tanto
quanto una diagnosi comunicata senza la adeguata delicatezza
può rivelarsi più deleteria del problema organico in sé. Uno
degli obbiettivi del counseling, quindi, è anche quello di
educare i professionisti, quelli operanti in campi a stretto
contatto col pubblico, a una comunicazione empatica più
consapevole.