La musica come volto espressivo della vita
di Egidia Blatto
di Egidia Blatto
La musica e tutte le formule artistiche possono comunicare sperimentalmente e non solo concettualmente la forza, la ricchezza, l’estensione e la profondità del mondo interiore.
Compositori e interpreti non fanno partire la loro creatività dal possesso di pienezze ma da stati di mancanza.
È solo il vuoto che può essere inseminato dall’eccitazione di una fame che porta a cercare ancora, a creare di nuovo… e i bisogni spingono l’essere in vita a creare e co-creare processi creativi atti alla soddisfazione.
Inoltriamoci ora in un esempio nella storia della musica classica.
La sordità, il destino di essere prigioniero del silenzio spinse Beethoven a comporre la sinfonia n.5 che parte proprio dai quattro tocchi iniziali che segnalano il destino personale che bussa forte e penetra la vita con i suoi segnali di limitazioni, difficoltà e fatiche.
L’opera rappresenta il cammino in vita di Beethoven come di ogni uomo che lotta per digerire, frammentare, trasformare, integrare senza deflessioni il peso della propria sofferenza e del proprio dolore.
Si dice che Beethoven sia stato in grado di rappresentare con la sua musica il dolore e la gioia di ogni uomo.
Nella lotta di Beethoven, in questa sua battaglia nell’integrare limiti e difficoltà incontrate, non c’è spazio per vittimismi, vissuti depressivi, scoraggiamenti bensì campi di confronto aperto, di azioni trasformative, di sguardi dritti, di posizioni erette. L’opera si può sentire suonata orchestralmente oppure in trascrizione solo per pianoforte: in quest’ultima il cammino esistenziale arriva a essere sentito e percepito in primissimo piano.
L’esecuzione migliore della trascrizione è quella eseguita da Glenn Gould, geniale pianista canadese a sua volta limitato da un’importante sindrome di carattere ossessivo-compulsivo. Per tutta la sua esistenza dovette accettare le durezze dei limiti di questo disturbo che lo fece isolare dal mondo, fabbricare rituali, costruire barriere in grado di supportare le sue fragilità di rapporto con l’ambiente circostante (spazi e persone). Nonostante questo riuscì a creare un rapporto così intimo e profondo con la musica e con il suo insuperabile vecchio pianoforte Steinway, da cui ci ha potuto regalare interpretazioni insuperabili nella loro profondità emozionale.
Oltre a Beethoven e Glenn Gould, nell’ascoltare questa interpretazione possiamo aggiungere un nuovo attore: l’anziano accordatore di nome Charles Verne Edquist, semi cieco dalla nascita ma con polpastrelli magici da cui Glenn cercò di non separarsi fino alla sua morte.
Tre entità che in modi diversi lottano contro un destino che ha cercato di fermarli – gettando loro forti limitazioni – ma che combattono per promuovere nuove capacità creative: Beethoven compose l’opera ormai totalmente sordo; Glenn Gould la interpretò nel riparo della sua stanza di lavoro che lo proteggeva dalle sue ansietà; Edquist per giorni e notti preparò i martelletti della tastiera rendendoli più morbidi e rotondi, come Glenn li voleva per esprimere accordi capaci di trasmettere intimità e forza martellante; infine ancora il pianoforte al termine della sua vita che ha saputo sostenere senza scordarsi uno dei lavori più gravosi del pianismo.
Tutti e quattro assieme per non soccombere e uniti nell’esprimere coralmente che i limiti non fermano ma muovono, orientano, collaborano alla trasformazione e allo sviluppo personale.
In questa interpretazione si sente la forza messa insieme da un sordo, da un quasi cieco, da un ossessivo-compulsivo e da un vecchio pianoforte Steinway. Da loro tutti possiamo con commozione riconoscere la forza della nostra e dell’altrui fragilità se solo accettiamo di incontrarla, conoscerla e darle diritto di cittadinanza affinché contribuisca assieme ad altre forze a essere una forma del volto della nostra creatività.
Buon ascolto!
Glenn Gould, “Beethoven & Wagner: Piano Transcriptions by Liszt & Gould”, 1968 Sony BMG Music Entertainment.